a cura di Angelo Altamura
inaugurazione: domenica 5 marzo ore 14-21
apertura mostra: 7-31 marzo | martedì sabato 16-19
Seconda mostra personale di Federico Arcuri (1963) alla Galleria l’Affiche di Milano.
Acrilici su tela, gesso, inserti in carta giapponese colorata e, a volte, pagine di libri antichi. Tele di medio e grande formato raccontano la città, ancora una Milano in bianco e nero i cui spazi divengono però spazi universali, nei quali l’artista mette al centro il dinamismo dell’elemento umano, assoluto protagonista.
La prima impressione è di essere stati ritratti dall’autore in un momento inaspettato del nostro incessante correre quotidiano. Ignari, siamo finiti nelle tele di Federico Arcuri, un artista che nei suoi lavori mette in mostra il brusio dei vicoli e delle piazze della nostra città, il camminare incessante delle folle, la sospensione dell’attimo in fuga dalla tela stessa, l’impossibilità di fermarci e la velocità inarrestabile che ci rende sfuggenti in primis a noi stessi. Fermiamoci dunque, almeno davanti alle sue tele. Riprendiamo fiato. Cresciuto circondato da opere d’arte, Federico Arcuri impara presto a esprimersi tramite il segno, prima come illustratore e poi come Art Director in agenzia. Il digitale prende il sopravvento nel mondo del lavoro e lui torna al lavoro manuale, pittorico. Inizia a esprimersi a colori, poi con l’aerografo, lavora sui dettagli.
È solo in seguito che inizia a eliminare, in primis i colori. Nei lavori in mostra sono riuniti frammenti di fotografie in composizioni a collage dominate dal bianco e nero che nascono di getto dall’impulso del momento. La pittura acrilica – asciugando più in fretta – ne agevola così il processo creativo. Caratterizzano le tele le velature di colore e un processo continuo di stratificazione, con l’inserimento anche di pagine di libri antichi che l’autore imprigiona in colate di gesso. In mostra anche una serie di acquerelli in cui l’autore sintetizza al massimo il tema del dinamismo delle persone: le scie a grafite rappresentano infatti il segno che la gente lascia al suo passaggio.
“La partita del dominio nell’era della modernità liquida non viene giocata tra il più grande e il più piccolo, ma tra il più veloce e il più lento. Chi è capace di accelerare in modo da risultare imprendibile, domina”.
Zygmunt Bauman, Modernità liquida, 1999