13-21 dicembre 2013
7–25 gennaio 2014
Alfred Drago Rens
TUTTO QUADRA
Nuova personale di Alfred Drago Rens alla Galleria l’Affiche. Spettacolare lavoro tridimensionale su due direzioni.
– Foto di memoria familiare rielaborate in tre dimensioni e con interventi di colore, montate in teca: una sorta di teatrino che rivive, senza tempo, una sua nuova identità tra poesia, ironia, affetti repressi e ritrovati.
– Montaggi tridimensionali di forme colorate da fare invidia ad Albers, Mondrian, Strutturalisti, Vasarely, negativi-positivi di Munari e Gorin…
Le due famiglie di lavori si fronteggiano e contrappongono nello spazio della Galleria, dirette da una celata, invisibile, ma presente regia dell’autore.
L’intervento grafico sulle foto e i colori, di precisione tecnica quasi chirurgica, nasconde in realtà una forte componente emotiva, a volte ironica, e comunque un coinvolgimento molto più voluto di quanto l’autore confessi.
Una mostra da corteggiare con delicatezza e poetici languori.
INAUGURAZIONE:
giovedì 12 dicembre
dalle 18.30
ORARIO
dal 13 al 21 dicembre 2013
dal 7 al 25 gennaio 2014
martedì–sabato ore 16-19
ALFRED DRAGO RENS
Nato a Imperia nel 1970, italo-olandese, vive e lavora a Milano.
La sua ultima mostra alla Galleria l’Affiche, a cura di Martina
Cavallarin, è del 2007.
Presentazione di Mathia Pagani
L’era è quello che è. L’inflazione delle immagini ha raggiunto curve da Dow Jones in tempi non sospetti. In ogni senso. Del resto siamo anche oltre il 90-60-90. Le immagini hanno seni XL, vite magre e gambe corte, molto corte. Le chiameremo Cow Jones. Ecco: il future sulle Cow Jones restituisce una crescita esponenziale, come era prevedibile. Le immagini sono ovunque. Dagli smartphone al web transitano a profusione, e il passaggio in strada, sui mitologici tabelloni pubblicitari, è giustificato solo dall’esistenza pervicace di certi occhi nati prima degli anni Cinquanta, poveri. Quelli abituati a vedere le immagini solo se stampate (chi le stampa più?), e solo alla luce (il greco non tradisce: phos, photòs). Del resto era l’epoca in cui le foto emergevano dal buio della camera oscura, in una dialettica analogica ormai quasi preistorica, sicuramente manichea (orrore): remoti i tempi in cui si conservavano le foto sotto cornice o nel cassetto di qualche comò, in soffitta. Ma il miracolo può accadere. Rens è andato in soffitta e ne ha ritrovate alcune.Cosa è successo? Due cose. 1. Scegliendole gli ha restituito una dimensione spaziale, persa invece nell’inconsistenza materica usa e getta delle web images. 2. Tagliandole e ricomponendole in una terza dimensione, a strati, ha scavato, oltre che nello spazio, anche nel tempo.Per riportare al presente: quotidianità domestiche antiche (due bambini giocano a scacchi in un dove e un quando volutamente vaghi e quindi tanto più lontani); piante e fiori, altrimenti destinati alla decadenza (se ne è già discusso in Parlamento); infine colori in forme astratte (come estrema sintesi dei due soggetti appena citati, la lezione è di Kandinskij), non a caso geometriche. Perché nella diaspora delle immagini c’è molta poca geometria. E se è vero che la fotografia è (anche) una simulazione della realtà, tanto più reale quanto meno esplicito è l’intervento dell’autore, il cerchio rosso intorno all’occhio della nonna o il rilievo piramidale dato all’ala dell’angioletto seriale, manomettono le regole del gioco, facendole per converso risaltare di più. L’intervento dell’autore è esplicito, non celato dietro l’obiettivo: eppure ciò che vediamo non è mai stato così reale. Serve ancora discuterne?
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